“Certo che l’autunno è una stagione ben strana”, pensò Antonio fra se’ mentre, come ogni mattina, attraversava il paese a passi lenti “I prati sono colorati come in primavera, fa ancora caldo, ma magari il giorno dopo piove e tocca mettere già le maniche lunghe”.
Camminava per le strade di sempre, talmente conosciute che se avesse chiuso gli occhi le avrebbe potute percorrere a memoria. Camminava e si guardava in giro, salutando qualcuno ogni tanto e immaginando le parole maligne dietro a tanti falsi sorrisi. Arrivò alla piazza e vide il parroco, fermo davanti alla porta della chiesa. Gli fece un cenno di saluto che l’altro ricambiò senza particolare entusiasmo.
Passò oltre, arrivando alla strada che portava fuori, come se tra quelle quattro case in mezzo alla campagna si potesse identificare un “fuori” o un “dentro”. Nel prato che si apriva a destra della strada vide svettare i capolini gialli del topinambur e si fermò a raccoglierne qualcuno da aggiungere al mazzo di fiori selvatici che già teneva in mano. Staccava gli steli con perizia, senza strapparli, mentre sentiva gli sguardi dei suoi compaesani piantati nella schiena come pugnali e immaginava i loro commenti, ma andò avanti senza voltarsi.
Arrivò al ponte sul canale di irrigazione, quello dove negli anni in tanti per distrazione – ma qualcuno pure per volontà – erano caduti e annegati. Anche lui aveva rischiato, due anni prima, ma con una certa fortuna si era salvato. Si affacciò alla spalletta a guardare l’acqua torbida e fece spaziare lo sguardo intorno, come in cerca di qualcuno. Rimase lì per un tempo indefinito poi, ricordandosi che i fiori avevano bisogno d’acqua, si riscosse e riprese il cammino.
Il cimitero era poco lontano, ormai: accelerò il passo e si diresse verso il cancello d’ingresso.
La lapide era semplice e pulita, con i caratteri in ottone che brillavano al sole. Antonio tolse dal vaso i fiori più rovinati e vi aggiunse quelli che teneva in mano. Ricompose il mazzo con gesti misurati, facendo in modo che i fiori dallo stelo lungo non coprissero quelli più piccoli, che i colori non cozzassero troppo tra loro e che il tutto avesse un aspetto ordinato, poi soffiò via i petali secchi dal marmo, raccolse ciò che andava buttato e andò a prendere dell’acqua per rabboccare il contenuto del vaso.
La signora Carini girò di scatto la testa per non farsi scoprire a scrutarlo, ma lui se n’era accorto già da quando era entrato. Solo mentre Antonio le passava accanto, lei finse di accorgersi della sua presenza e allora lui, partecipando alla recita, la salutò educatamente mentre andava alla fontanella. Tornò alla tomba, riempì il vaso e si sedette su una grossa pietra che aveva fatto mettere lì apposta per poterla usare come sgabello. Guardò il viso dolce della sua Maria che sorrideva dalla foto in bianco e nero e cominciò a raccontare a bassa voce: “Sai, ieri Gioele ha iniziato l’asilo. Era proprio bello vederlo lì, in mezzo agli altri bambini…”
Parlava a bassa voce, raccontando piccole storie di vita quotidiana, di ciò che succedeva in casa loro, di quel poco che poteva succedere in un paesino come quello, scandito dai ritmi della campagna e delle stagioni.
Le raccontò ancora una volta di Adele, di come si fosse sistemata bene in quella grande casa mezza vuota, di quanto attiva e collaborativa fosse e della grande compagnia che gli facevano entrambi, ora che era rimasto solo, poi si chinò a baciare quella foto un po’ sbiadita e si avviò verso il cancello, accompagnato in sottofondo dal mormorio astioso della signora Carini.
Ripassò dal ponticello e si fermò nuovamente alla spalletta, ripensando a quel giorno di fine settembre di due anni prima.
Aveva appena accompagnato Maria nel suo ultimo viaggio ed era rimasto lì fino alla fine, fino a veder cadere l’ultima palata di terra, fino a che anche gli operai del comune se n’erano andati e poi lentamente, da solo, si era avviato verso casa.
La strada era ormai deserta e Antonio si era fermato sul ponte a riprendere fiato quando si era accorto di un movimento in basso, vicino al canale. Pensava al solito capriolo imprudente, ma guardando meglio aveva scorto la ragazza con quel fagottino bianco tra le mani e le aveva urlato subito: “Vieni via da lì! È pericoloso!”. Lei si era voltata di scatto, lo sguardo disperato dell’animale in trappola, ed aveva iniziato ad indietreggiare, scivolando sulla sponda umida. Antonio era esperto di quel posto disgraziato: qualche imprudente l’aveva salvato anche lui, quand’era più giovane, ed era corso giù evitando i punti più scoscesi con passo esperto e sicuro. Arrivato abbastanza vicino le aveva porto una mano per aiutarla a risalire, ma lei sembrava più determinata a scendere che a salvarsi. Antonio allora aveva capito e si era allungato per sbarrarle la strada, riuscendo a strapparle di mano il fagotto, dal quale sporgeva ora una manina paffuta. La ragazza si era messa a urlare: “Ridammi il mio bambino, non posso morire senza di lui!”
“E non morirai nemmeno CON lui! Non oggi, almeno!” le aveva gridato Antonio di rimando. Approfittando di una sua distrazione l’aveva afferrata per un braccio e la tirava su mentre lei si dimenava e piangeva disperata. In tutta quella pericolosa manovra, alla fine, era proprio Antonio che stava rischiando di finire nel canale, ma fortunatamente un ramo si era messo di traverso, impedendogli all’ultimo momento di cadere in acqua.
Seduto sulla riva, sporco e dolorante, guardava la ragazza sconvolta che cercava di consolare il pianto disperato di quel bambino. Aveva già preso la sua decisione, ma aspettava che i due si calmassero: l’avrebbe portata a casa sua e l’avrebbe fatta dormire lì – a meno che non ci fosse una famiglia da cui riportarla subito – e l’indomani si sarebbe deciso il da farsi.
La ragazza sulle prime non voleva sentire ragioni, ma il pianto del bimbo era sempre più forte e insistente e alla fine fu quello a convincerla ad accettare la mano che l’uomo le stava porgendo. Arrivati nella grande casa, Antonio aveva preparato una cena calda, aveva dato alla ragazza dei vestiti puliti e avevano parlato un po’.
Adele, così si chiamava, gli aveva raccontato di essere una ragazza madre, che il padre del bambino era un uomo sposato che non voleva prendersi le proprie responsabilità e che la sua intenzione, ora che aveva deciso di voler vivere, era di andare a cercare fortuna più a nord, magari appoggiandosi a dei lontani parenti che vivevano vicino a Roma.
Antonio le aveva preparato il letto in una stanza di quella casa silenziosa e l’aveva lasciata tranquilla, ritirandosi pensieroso in camera sua.
Dalla foto sul comodino Maria sembrava lo guardasse negli occhi e la sua voce dolce e decisa gli rimbombava in testa dicendogli: “Puoi farlo. È giusto così”.
Interrompendo il flusso dei ricordi, Antonio riprese a camminare verso casa e ripassò dalla piazza. Guardò la gradinata del municipio e si fermò di nuovo, sorridendo al pensiero di quello che era stato capace di combinare.
Su quei gradini, il giorno successivo, ci era salito assieme a Adele e al bambino. Ci aveva messo parecchio a convincerla, ma sapevano tutti e due che quella era l’unica strada. Si erano presentati all’anagrafe, dove lui aveva chiesto un riconoscimento di paternità dichiarando Gioele come figlio suo, frutto di una relazione clandestina con quella ragazza che aveva meno della metà dei suoi anni.
Prima che i tre uscissero dal municipio, lo scandalo era già scoppiato e la notizia era sulla bocca di tutti. Perfino il parroco si era precipitato lì a sincerarsi che Antonio non fosse impazzito, ma l’unica cosa che l’uomo gli aveva detto era che, avendo già causato abbastanza guai, non aveva alcuna intenzione di sposarsi con Adele, almeno per non peggiorare le cose.
Da dietro le finestre chiuse qualcuno lo osservava, fermo in mezzo alla piazza vuota. Ridacchiando ancora tra se’, Antonio riprese a camminare e arrivò finalmente a casa.
Gioele corse ad abbracciarlo, mentre Adele si affacciava sorridente alla porta della cucina.
La casa era nuovamente casa, viva e calda, come lo era finché Maria era stata in grado di occuparsene.
Assaporò quei momenti mentre pensava che in fondo l’autunno non è poi una così brutta stagione: porta frutti inaspettati, a volte, e riempie di colori la vita.
Ma soprattutto, l’autunno è quella strana stagione in cui pensi sia arrivato il momento di chiudere certi conti e dove poi, invece, ti ritrovi felicemente intento ad aprirne altri.