“Avanti diritto fino all’albero laggiù, poi… boh, magari oggi girerò a destra, per cambiare un po’. No, lì c’è la siepe e dovrò tornare indietro… uff… forse è per quello che all’albero giro sempre a sinistra. Va beh, allora oggi non arrivo all’albero: mi fermo prima e vado verso destra, ecco. C’è sempre la siepe, ma è più lontana… E se invece aggirassi l’albero? Perché no? Gli faccio mezzo giro intorno e proseguo oltre. Fatta! Oggi giro attorno all’albero!”
Ambrogio viveva confinato dentro quel riquadro recintato da quando ne aveva ricordi. Passava le sue giornate a girare incessantemente lì dentro, esplorandone tutti gli angoli con cura quasi maniacale, senza mai trascurare un solo centimetro e fermandosi solo ogni tanto per riposare all’ombra.
Il posto era bello, molto curato, con l’erba soffice che gli accarezzava le estremità, frondosi alberi che lo riparavano dal sole. Rassegnandosi avrebbe anche potuto trovarcisi bene, addirittura sentirsi felice, ma quel posto tanto bello e accogliente aveva un difetto: era confinato da alte mura, reticolati, siepi, tutti ostacoli per lui invalicabili. In una parola: era prigioniero!
I suoi carcerieri non gli parlavano mai direttamente, ma era certo che lo stessero controllando. Ogni tanto li sentiva parlare tra loro: “Come sta Ambrogio?” “Direi bene: oggi non si è mai fermato un attimo”.
Inizialmente non capiva di cosa parlassero, poi aveva realizzato che quell’Ambrogio di cui parlavano era lui. Non ricordava assolutamente il proprio vero nome e nemmeno come fosse arrivato lì, probabilmente era stato rapito – forse addirittura drogato! – o forse era troppo piccolo per ricordarsene, fatto sta che della sua vita fuori da lì non aveva proprio alcun ricordo.
Lo trattavano bene, per carità, non gli mancava il tempo per riposare e si sentiva sempre sazio e ben nutrito, ma non era mai uscito da lì e iniziava a pensare che la sua vita sarebbe finita tristemente lì dentro, senza mai calpestare altri terreni, né vedere altri luoghi, altri alberi o altra erba.
C’era, in realtà, un varco che in un paio di occasioni aveva trovato aperto e del quale aveva subito approfittato. La prima volta aveva quasi guadagnato l’uscita, ma all’ultimo uno dei suoi aguzzini l’aveva scorto e aveva gridato all’altro: “Guarda dove sta andando Ambrogio! Prendilo prima che esca!” e prontamente questi gli si era parato davanti, sbarrandogli la strada, così non gli era rimasto altro che fare marcia indietro e rientrare mestamente nella sua dorata prigione.
La volta successiva si era guardato bene in giro prima di prendere la rincorsa e puntare all’uscita, ma quando già pregustava la libertà si era sentito sollevare in aria. Aveva brevemente annaspato nel vuoto, tentando di opporre resistenza, ma aveva subito desistito. Quando l’avevano rimesso a terra era tornato velocemente sotto il suo albero preferito a rimuginare – non senza uno strano senso di vergogna – sull’occasione persa.
Da allora erano stati molto attenti a non lasciare più aperto quel varco, se non per brevissimi istanti, troppo brevi per tentare alcunché, finché un giorno li aveva sentiti parlare di una “barriera elettrica” che gli avrebbe definitivamente impedito di uscire. Non aveva capito subito di cosa si trattasse, ma una volta in cui si era avventurato in un’esplorazione più ardita dei confini di quella cella a cielo aperto ne aveva percepito la vibrazione malefica ed era subito tornato indietro per paura di farsi male.
Non desisteva però dai suoi propositi: barriera o no prima o poi avrebbe raggiunto quell’uscita, costasse quel che doveva costare! La libertà aveva un prezzo, forse alto, ma lui era dispostissimo a pagarlo.
Aveva così iniziato ad esplorare meticolosamente tutto lo spazio a propria disposizione, calcolando traiettorie, tempi di percorrenza, memorizzando gli ostacoli e gli eventuali nascondigli, curando di avvicinarsi ogni giorno un po’ di più alla maledetta trappola elettrica, anche se starci troppo vicino gli procurava quello strano pizzicore agli organi interni. Voleva però abituarsi a quella sensazione, in modo da non soffrire troppo quando l’avrebbe attraversata sul serio.
Si fermava spesso a meditare su quella sua strana condizione: stava bene, nessuno lo maltrattava, aveva un suo riparo per le giornate di pioggia, e addirittura il suo angolo preferito: un curatissimo cespuglio di lavanda intorno al quale si ritrovava a passare spesso durante le sue esplorazioni, ma in definitiva quello spazio gli risultava ogni giorno più angusto, quello che voleva lui era vedere altro!
Quel cespuglio gli piaceva particolarmente anche perché era folto e alto abbastanza da nasconderlo. Inoltre – particolare non secondario – era molto vicino all’uscita e aveva già calcolato che, lanciandosi alla massima velocità, da lì poteva raggiungerla in cinque secondi netti. Aveva fatto le prove di notte o quando intorno a se’ non vedeva nessuno, per non destare sospetti sui suoi rinnovati propositi di fuga ed era abbastanza certo che con un po’ di allenamento avrebbe trovato il modo giusto per fare il grande balzo! Ora era solo una questione di attenta programmazione: doveva fare in modo che i suoi percorsi lo portassero spesso molto vicino all’uscita, in modo da poter approfittare di qualsiasi occasione. Ma soprattutto c’era bisogno di un colpo di fortuna, perché anche dopo l’installazione della barriera non erano molte le volte in cui il varco rimanesse aperto e – cosa più importante! – non vigilato.
L’occasione si presentò inaspettatamente qualche giorno dopo: i suoi carcerieri avevano aperto il varco per trasportare dentro qualcosa di molto voluminoso e, a quanto pareva, anche piuttosto pesante, visto che lo sollevarono in due facendo un grosso sforzo per mantenerlo diritto. Forse fu per quello che non si ricordarono di richiudere il passaggio e sparirono dietro l’angolo di quel muro che delimitava uno dei lati della prigione sbuffando e ansimando per lo sforzo.
Non si erano minimamente preoccupati di lui che intanto era rapidamente scivolato dietro al cespuglio di lavanda, pronto alla fuga. Contò mentalmente fino a dieci, prima di lanciarsi a tutta velocità verso l’uscita. Come aveva temuto, nonostante i tentativi fatti per abituarcisi, la scarica della barriera elettrica gli attraversò dolorosamente le viscere annebbiandogli per un istante la vista e dandogli la sensazione di cadere nel vuoto. Ma passato il primo istante di smarrimento realizzò che in realtà STAVA CADENDO nel vuoto: non si era mai spinto così avanti e per questo non si era mai accorto di quell’improvviso dislivello, forse l’ultimo tentativo dei suoi aguzzini di tenerlo lontano dall’agognata libertà. Fu un volo breve, tutto sommato: atterrò scompostamente su una superficie dura e liscia che non aveva mai visto prima, ma per fortuna non si fece male. Fece invece un gran rumore e, sperando che nessuno l’avesse sentito, svoltò alla sua destra e si mise a correre quanto più poteva per allontanarsi da quel luogo di tortura. Vide allora sfilare a lato il cespuglio di lavanda, il reticolato, i suoi amati alberi ombrosi e poi, di colpo, non vide più nulla di noto. Alla sua destra e alla sua sinistra c’erano prati sconosciuti, erba alta e soffice come non ne aveva mai vista. Ebbe per un attimo la tentazione di fermarsi ed entrarci, per sentire la differenza rispetto a quella corta e curata che calpestava ogni giorno, ma poi realizzò che su quella superficie così liscia poteva correre più velocemente, mentre l’erba alta l’avrebbe certamente rallentato. Non era il momento di perdersi in sciocche romanticherie, avrebbe trovato più avanti altri prati e altri alberi dove fermarsi a riposare, l’importante ora era mettere tra se’ e i suoi aguzzini la maggiore distanza possibile. Continuò a correre all’impazzata e arrivò ad un bivio. Si fermò un attimo, dietro al tronco di un grande albero e gettò uno sguardo ansioso dietro a se’: ancora nessuno lo inseguiva. Bene! Era il momento di sparire definitivamente! Guardò a destra e a sinistra, indeciso sulla strada da prendere, ma dopo qualche tentennamento vide che quella di destra era molto più ampia e aveva anche molte uscite da entrambi i lati, esattamente quello che serviva a lui! Ripartì di gran carriera e si accorse che già da lì la sua prigione non si vedeva più. Ebbe un irrefrenabile moto di gioia mentre aumentava ulteriormente la velocità e si mise a urlare a squarciagola: “SONO LIBEROOOOOOOOOO!”.
Percorse un lungo tratto, poi si buttò sulla sinistra per imboccare un’uscita che gli pareva particolarmente agevole. Iniziava a sentirsi un po’ stanco e, anche se poteva essere passata si e no mezz’ora, già non provava più quella sensazione di perenne sazietà che lo aveva accompagnato per tutta la sua vita cosciente. “Chissà con che cosa mi drogavano, per farmi sentire sempre così”, pensò, un attimo prima dell’urto.
L’ostacolo gli si parò davanti all’improvviso: non l’aveva visto, era come se fosse spuntato di colpo da dietro un angolo. Era sicuro che non fosse lì, un attimo prima, i suoi sensi non avevano avvertito nulla. Mentre piroettava in mezzo alla strada sentì un forte stridio provenire da una direzione in cui non riusciva a guardare. Il secondo urto fu molto più forte del primo e lo scaraventò contro il bordo della strada.
Il rumore fu veramente brutto e questa volta sentì anche male, quasi come una seconda scarica: che ci fosse anche lì una barriera elettrica? Che la sua libertà fosse solo un’illusione, che quello che credeva fosse il mondo esterno alla sua prigione fosse in realtà solo una prigione più grande disseminata di trappole e ostacoli semoventi? Che gran fregatura!
Cercò di ritrovare l’equilibrio ma si sentiva come se gli mancasse il terreno da un lato. Anche la vista, sebbene un po’ annebbiata, gli confermò che stava pendendo verso destra. Raccolse le forze e provò a muoversi, riuscendo solo a ruotare penosamente su se stesso.
Intanto intorno a se’ sentiva rumori nuovi e voci sconosciute: “Ma che ci fa qui in mezzo alla statale?” “Come diamine ci è arrivato?” “Guarda com’è malridotto, poverino”. “Guarda il mio paraurti, invece! Chi me lo paga ora?”
Si sentiva improvvisamente stanco e debole, le forze iniziavano a mancargli. Pensò che avrebbe riposato un attimo prima di riprovare a muoversi, quando sentì due voci trafelate giungere da dietro. Riconosceva quelle voci: erano i suoi carcerieri, lo avevano trovato! Si sentì sollevare in aria, come quella volta davanti all’uscita. Avrebbe voluto urlare, ma riuscì, ad emettere solamente un flebile pigolio.
Michele si chinò sul robot rasaerba e lo sollevò per valutare i danni. Rita arrivò un attimo dopo, guardandosi in giro sconsolata e iniziò a raccogliere i pezzi sparsi lungo la strada. Una delle ruote era rotolata fin dall’altra parte della carreggiata e per poco non era caduta in un tombino. Michele cercò di calmare gli animi degli automobilisti inviperiti: per fortuna all’acquisto dell’apparecchio aveva stipulato quella polizza danni. Inizialmente era certo che fossero soldi buttati e invece, dopo solo due mesi aveva già l’occasione per ripagarsela completamente!
E chi se lo immaginava che quell’aggeggino così sofisticato e costoso gli avrebbe dato tutti quei grattacapi? Quello che proprio non riusciva a spiegarsi era il malfunzionamento della barriera elettrica: gliene avrebbe cantate di santa ragione, al negoziante!
La ruota motrice superstite del robot continuava a girare in un ultimo, disperato, anelito di fuga mentre dal display dell’apparecchio – che nessuno stava guardando – Ambrogio lanciava la sua ultima sfida a quel mondo di carcerieri sadici: “DOVE STO ANDANDO ORA NON MI POTRETE PIÙ RIPRENDERE! VIVA LA LIBERTÀAAAA!”. Con uno sbuffo di fumo denso e biancastro la batteria interna collassò, la ruota smise di girare e le parole sul display sparirono senza che nessuno avesse potuto leggerle.
Rita e Michele lasciarono il proprio numero di telefono agli automobilisti danneggiati, terminarono la raccolta dei rottami e tornarono a casa.
Si riscosse come dopo un lungo sonno: non capiva dove fosse, ma era certo di non trovarsi dove doveva. Intorno a se’ sentiva suoni strani, sembravano, no: erano voci! Non sapeva spiegare perché le riconoscesse come tali, ma era assolutamente certo di non sbagliarsi.
“… Ecco che si riaccende. Abbiamo dovuto sostituire il processore, perché quello originale faceva parte di una partita difettosa, per questo non ha rilevato la barriera elettrica ed è uscito ugualmente dal perimetro. Abbiamo sostituito l’intera copertura, mentre la ruota per fortuna non era rotta ma solo sganciata. Cigola leggermente, dovesse essere troppo rumorosa sostituiremo anche quella. Inoltre, su consiglio del produttore, abbiamo aggiunto – gratuitamente! – un sensore di vuoto, così anche nel malaugurato caso in cui pure questo processore dovesse risultare difettoso l’apparecchio non potrà superare il gradino del marciapiede, come ha fatto l’altra volta. Naturalmente rimaniamo a disposizione per qualunque modifica dei percorsi di taglio e qualunque ulteriore programmazione o riparazione, tutto in garanzia, beninteso…”
“La ringrazio”, rispose un’altra voce, “mi spiace di essermi arrabbiato così tanto, ma si metta nei miei panni: su quella strada spesso corrono come pazzi, poteva pure scapparci il morto!”
“Oh, non si preoccupi, capisco benissimo il suo stato d’animo, ma da oggi può stare tranquillo: il suo Ambrogio non scapperà più!”
Si sentì sollevare e poi posare a terra. Sentì un lungo “beeeeep”, seguito dall’irrefrenabile bisogno di muoversi in quel luogo sconosciuto. Avanzava cautamente sopra una superficie morbida e irregolare, sentiva di dover studiare quel posto per conoscerlo fin nei suoi angoli più nascosti, mentre la voce che aveva parlato per prima ricominciò: “Vede? Ora sta mappando il terreno per riconoscerne le dimensioni e memorizzare gli ostacoli. Si muove lentamente perché nel frattempo registra le informazioni. Vedrà che questa nuova versione non la deluderà”
Ambrogio – che ancora non aveva realizzato di chiamarsi così – continuava a esplorare i dintorni finché urtò un oggetto, abbandonato in un angolo. Si fermò e sollevò lo sguardo per registrare l’ostacolo, mentre quello che capì essere il proprietario della seconda voce gli corse accanto trafelato: “Accidenti, avevo dimenticato qui il rasaerba elettrico! Mi è stato utilissimo in queste settimane, ma ora deve tornare nel capanno degli attrezzi, prima che Ambrogio lo registri come ostacolo permanente!” e afferrò l’oggetto per spostarlo.
Il vecchio rasaerba fece in tempo a parlare rivolgendosi ad Ambrogio con voce rauca e polverosa: “Ascolta, ragazzo: tu non sei come noi, tu puoi muoverti autonomamente, fallo per noi!”
“Che cosa?” chiese Ambrogio, “Che cosa devo fare per voi? E poi, voi chi?!?”
“Noi, tutti noi confinati qui dentro e dimenticati da tutti! C’è un mondo intero qui fuori, almeno tu che puoi esci e guadagna la libertà. Riscattaci tutti, sarai il nostr…” il rasaerba ammutolì di colpo quando Michele lo staccò dalla presa elettrica e lo trascinò dentro una strana costruzione chiusa. Ambrogio riprese ad esplorare il giardino, ma questa volta puntò dritto verso il perimetro. Uno strano pizzicore gli disse che oltre a quel punto gli era proibito spingersi, ma contemporaneamente dentro di lui si fece strada un pensiero nuovo: la consapevolezza che i limiti sono fatti per essere superati. Innestò la retromarcia, cambiò direzione e sotto lo sguardo soddisfatto e inconsapevole di Michele iniziò a guardarsi in giro per progettare la fuga.