Innanzitutto, la sincerità

Bip
Bip
Bip
“Sono quattordici euro e novanta. Contanti o carta?”
La voce della cassiera era artificiosa e affettata, come se stesse servendo il consommé ad una tavola altolocata. Le parole erano un po’ trascinate, volutamente lente, quasi languide – come il resto delle sue movenze – infatti la fila nel piccolo supermercato era lunghissima e alcuni tradivano una mal dissimulata impazienza.
Alberto stava ad osservare, impassibile con le sue birre in mano, attento e curioso, per vedere quanto ci avrebbe messo il primo di loro a sbroccare. Del resto, Daniela – era risaputo – era sempre stata lenta, in tutto, tranne che nel mettere gli occhi addosso alla prossima preda. Ma ormai, pure per quello doveva essere passato troppo tempo: il paese era piccolo, c’era poca gente nuova e lei aveva già probabilmente fatto tutto il giro.
E forse anche più di una volta, si ritrovò cinicamente a pensare Alberto, vergognandosene subito dopo.

Lentamente la fila avanzava e Alberto, per ingannare il tempo, si mise a spulciare tra la merce in offerta, nelle vicinanze della cassa. L’uomo davanti a lui in fila attaccò bottone, forse per ingannare il tempo, forse per capire cosa ci facesse un forestiero in paese: “Lasci stare quella roba: buon prezzo, ma scarsa qualità. Come lì davanti” alzò la voce per essere certo di farsi sentire e accennò con lo sguardo alla cassiera che continuava con la sua lenta litania di cifre scandite “buon prezzo, ma nessuna qualità” concluse ridacchiando e cercando un accenno di reazione divertita anche sul viso di Alberto.
Daniela lo aveva sentito perché lo fulminò con lo sguardo, incrociando di sfuggita anche quello di Alberto che, senza scomporsi, apostrofò l’uomo: “Dovrei trovarlo divertente, mi scusi? Pensa che insultare la signora davanti a un estraneo sia roba da uomini veri?”.
Con la coda dell’occhio colse un lieve accenno di rossore sul viso della donna, ma non si voltò a guardarla, continuando a sostenere lo sguardo dell’uomo che rispose, piccato: “Senti senti: un vero galantuomo in questo buco di paese! Dì un po’, il cavallo bianco l’hai legato nel parcheggio?” Qualcuno rise, altri sbuffarono, ma finalmente era arrivato il turno dell’uomo e Daniela fu incredibilmente rapida a passare le sue quattro cose: “Sono sette euro e trentacinque. Contanti o carta?” chiese con un tono completamente diverso, secco e sbrigativo. “Se preferisci, ti pago in natura stasera” insistette lui, girandosi a guardare con un sorriso beffardo Alberto, che senza distogliere lo sguardo rispose: “In genere, chi tanto parla poco combina e a giudicare dalla reazione della signora, lei passerà da solo anche questa sera”.
Si sentì qualche risata soffocata, più indietro nella fila, l’uomo arrossì violentemente, ma non replicò. Estrasse rabbiosamente i soldi dal portafogli, raccolse le sue cose, prese il resto e se ne andò bestemmiando tra sé.

“Grazie” mormorò la donna, “non era tenuto ad intervenire”
“Certe cose mi danno sempre l’orticaria”, replicò Alberto, “è più forte di me. Spero di non averle causato dei guai”.
“Non si preoccupi” rispose lei, “Giovanni è un cretino, ma è più o meno innocuo… Sono due euro e cinquanta: paga in contanti?” aveva ripreso il tono professionale di prima, come se nulla fosse successo.
Alberto trasse di tasca un po’ di spiccioli, pagò senza aggiungere altro e salutò cortesemente prima di uscire.
Era stupito che Daniela non l’avesse riconosciuto, ma del resto erano vent’anni che mancava dal paese: fino a quel momento – era lì dalla mattina – nessuno l’aveva ancora salutato. Nemmeno Giovanni, che l’aveva guardato dritto negli occhi un minuto prima, si era accorto che fosse lui. Sempre il solito, del resto: uno stupido attaccabrighe, incapace di vedere un elefante davanti al proprio naso.

Fuori dal supermercato aveva riconosciuto – non senza una certa difficoltà – anche Lorenzo, imbruttito dall’alcol e da una vita evidentemente fuori dalle regole. Aveva deciso di entrare nel supermercato a prendere un paio di birre fresche proprio per lui. Non che fossero mai stati amici, anzi: Lorenzo era stato uno sbruffone, sempre pronto a umiliare e sbeffeggiare chi non la pensasse come lui. Le sue battute erano caustiche, corrosive e lasciavano il segno, Alberto se le ricordava ancora bene. Eppure, vederlo in quello stato non gli faceva piacere. Non poteva fare molto per lui, ma una birra fresca gli consentiva – ad un prezzo più che ragionevole – di chiudere certe porte sul passato.

Si avvicinò al mucchio di stracci su cui sedeva l’uomo. L’odore non era invitante, ma si fece forza e si accucciò davanti a lui porgendogli le birre. Lorenzo sollevò lo sguardo e lo trafisse, come ai vecchi tempi, con le iridi azzurro ghiaccio che non avevano perso la loro forza, nonostante il disfacimento di tutto il resto. Alberto si ritrovò nuovamente intimidito da quello sguardo come se il tempo non fosse passato per nulla, ma continuò a tenere sollevate davanti a sé le birre sforzandosi anche di sorridere.

“Cosa ci fai qui, Alberto? Che sei tornato a fare?” biascicò Lorenzo
Alberto restò impietrito per un attimo e le birre quasi gli caddero di mano per la sorpresa: “Mi… riconosci? Fino ad ora ne ho incrociati tanti: compagni di scuola, ex amici dei tempi che furono, ma da tutti nemmeno uno sguardo”.
“Siamo in un paese, Alberto. Siamo in un cazzo di paese! Si conoscono tutti e sanno tutto di tutti, non si aspettano sorprese, non alzano più nemmeno gli occhi. Forse domani qualcuno inizierà a notare che c’è un forestiero, se ti fermerai ancora a lungo, ma spero per te che sarai abbastanza furbo da scappare il prima possibile!”
“E tu, allora? Tu mi hai notato subito”
“Per me è diverso, io devo vedere tutto, devo saper capire in anticipo se il poliziotto di passaggio è qui per cacciarmi via o se mi darà una moneta anche lui, devo guardarli tutti in faccia perché forse uno di loro mi lascerà qualcosa. Io so tutto, li vedo passare tutti, qui davanti, so prevedere anche a che ora arriveranno, ma non prevedevo te: che sei venuto a fare qui? A vedere come ce la caviamo senza di te? Ce la caviamo benissimo, non vedi? Daniela è la solita ninfomane, Giovanni il solito idiota e io il solito straccione. E non ci hai ancora incontrati tutti…”

“Non eri uno straccione, all’epoca…”

All’epoca… senti come parla figo, questo! Si vede che hai vissuto nella grande città!” celiò Lorenzo facendo una smorfia derisoria sotto i capelli unti. Non aveva perso la verve, era solo un po’ annebbiato dall’alcol, ma sotto sotto era sempre quello di prima, quello che aveva saputo fargli male, tanto male.
“Ero uno straccione anche… all’epoca” lo scimmiottò, “ma mi piaceva darmi arie da gran figo e poi, per voi io ero DIO! Anzi vi devo ringraziare: senza di voi non sarei mai stato nessuno e invece così, almeno per un po’, sono stato un re. Certo, ero il re degli sfigati, perché questo eravate: stavate lì come cagnolini, pronti a scodinzolare dietro al capobranco, pronti a correre dietro a ogni cazzata di quello carismatico – cioè io – o dell’arruffapopoli, come mi chiamava Don Franco, te lo ricordi? Pace all’anima sua, è morto l’anno scorso. Mi diceva sempre che sarei finito male e adesso possiamo anche dire che aveva ragione. Forse. O forse sono finito come volevo io… ma queste birre le dobbiamo solo guardare o possiamo anche berle?”

Alberto era talmente intontito da tutto il discorso da essersi totalmente dimenticato delle bottiglie che teneva in mano. Cercò in tasca le chiavi dell’auto, fece forza sul tappo di una delle due e la aprì, porgendola a Lorenzo che lo guardava interrogativo: “Devo bere da solo? Per una volta che qualcuno mi fa compagnia? Apri anche l’altra e brindiamo: agli amici ritrovati, che spero di riperdere subito, per il loro bene, si intende” bevve l’intera bottiglia in un unico sorso e la lasciò cadere a fianco, mentre Alberto, accucciato lì davanti, spalle alla strada, sorseggiava lentamente la sua. “L’hai già finita?” esclamò, stupito, “Vuoi che entri a prenderne un’altra?”
“E farti un’altra mezz’ora di coda mentre aspetti che Daniela si muova? Con il rischio di beccare di nuovo Giovanni che le ronza intorno da una vita ed è l’unico in tutto il paese a non essersela portata a letto…? Smettila di fare il buon samaritano, beviti questa birra e togliti dalle palle. Se mi stai davanti, la gente non mi nota: vogliono vedere la scimmietta, prima di divertirsi a tirarle le monetine!”
Decisamente non aveva perso il sarcasmo, solo che era verso sé stesso che lo puntava ora, come fosse la pistola del suicida. Quella stessa pistola, sempre carica, che aveva puntato addosso a loro per tutto il tempo che avevano – loro malgrado – trascorso assieme.
Del resto, in un posto così piccolo non puoi nasconderti a lungo: prima o poi devi mettere il naso fuori dal guscio protettivo di casa tua, dove i tuoi genitori ti tengono al riparo dalle insidie e dai dispiaceri; dove puoi ancora pensare che la vita sarà sempre comoda, divertente, piena di affetto… illusioni che in paese spariscono presto, ma che nella grande città – se ne rendeva conto perfettamente, per averci vissuto a lungo – nemmeno hai spazio per far nascere. Alberto non sapeva decidere cosa fosse peggio.
Guardò a lungo Lorenzo seduto sui suoi stracci maleodoranti, mentre tornava verso l’auto. Non gli aveva risposto, non gli aveva detto che si sarebbe fermato per qualche giorno. Questioni burocratiche da sbrigare: estratti di nascita, atti di proprietà, scartoffie, insomma, roba di cui non si può mai fare a meno. Si ripromise di passare di nuovo a salutarlo, prima di accendere il motore e andare nella città vicina a cercare l’albergo dove aveva prenotato.

In realtà, avrebbe potuto benissimo prenotare anche in paese: c’erano un paio di Bed & Breakfast, ma non voleva rischiare di essere riconosciuto. Non avrebbe sopportato di dover passare una serata o due a rispondere alle domande di chi non lo vedeva da vent’anni – e che per vent’anni non si era nemmeno preoccupato di cercarlo, peraltro.
La cittadina era piccola: trovò l’albergo con facilità, salì in camera, si fece una doccia, si cambiò gli abiti e uscì a cercare un posto per la cena. Passò la serata giocherellando distrattamente col telefono mentre aspettava il cameriere, rispose a qualche messaggio di Giuliana, la segretaria, che gli organizzava le prossime giornate e alla fine, invece che rientrare in albergo, passò in un pub, prese altre due birre – roba buona, questa volta – riprese l’auto e guidò fino al paese. Se ci aveva visto giusto avrebbe trovato Lorenzo nello stesso posto in cui l’aveva incontrato nel pomeriggio. Fermò l’auto nel parcheggio del supermercato – deserto, a quell’ora – e illuminò coi fari un mucchio di cartoni. Spense tutto e camminò deciso in quella direzione. Lorenzo mise la testa fuori dal giaciglio urlando con voce roca e assonnata: “Sì, sì, tranquilli, me ne vado, non vi preoccupate, me ne vado subito”.
“Augh! Vengo in pace” disse sorridendo di rimando Alberto e tenendo le due bottiglie ben in vista andò a sedersi anche lui sui cartoni. “Ma tu vivi qui?” Chiese
“Non sempre, ogni tanto me ne devo andare. Quando la polizia o i vigilantes notturni mi rompono troppo le palle mi tocca cambiare aria per un po’. Cambio paese, o vado in città. Sparisco per qualche mese, giro, vedo il mondo…” aggiunse con una risata roca,
“Finché c’era don Franco, mi faceva passare la notte in parrocchia. Se faceva tanto freddo, mi faceva restare anche di giorno e mi dava pure qualcosa da mangiare. Il nuovo prete ha la puzza sotto il naso: mi tratta come un appestato, non mi fa nemmeno avvicinare! Quelli nuovi non sanno cos’è la carità. In seminario non glielo insegnano più, mi sa”
Lorenzo era molto più lucido e loquace di quanto non si fosse mostrato nel pomeriggio: chiacchierarono a lungo, raccontandosi, almeno in parte, gli ultimi vent’anni.

“Si è fatto tardi” disse ad un certo punto Alberto, “domani sarà una lunga giornata: scartoffie, uffici e forse riesco a combinare un affare, sono qui anche per quello. Domani torno a trovarti, e se l’affare va in porto ci sarà da festeggiare”
“E vuoi festeggiare con me?”
“Boh, magari sei tu che mi porti fortuna, dovrò pure ringraziarti”
“Ringraziare” rispose Lorenzo con tono sarcastico, “lo sai da quanto tempo non sento questa parola? Nessuno ha mai qualcosa per cui ringraziarmi. Ti dirò, credo che nessuno l’abbia mai avuta, per me. Il mondo non conosce la gratitudine, almeno, il mio mondo non prevede questa parola”
“Beh, forse domani varrà anche per te. Speriamo”
Lorenzo lo tirò per un braccio e lo guardò negli occhi: “Sinceramente: perché?”
Perché cosa…?” Replicò Alberto
“Dai, non fare finta di essere scemo, lo sai benissimo. Perché fai questo? Perché ti stai interessando a me? Non ti ho trattato bene, non ci siamo lasciati da amici, anzi, siamo sinceri: non lo siamo mai stati”
“A dire il vero, non lo so” replicò Alberto, “ma il fatto che tu mi abbia fatto del male in passato non significa che debba fartene anch’io adesso. Sarebbe facile, ma poi non ne usciamo più, diventa una faida”
“Sei diventato saggio”
“Forse. O forse sono solo stanco di lottare”
“Ci sta. Comunque, grazie. Spero che i tuoi affari vadano in porto”
Alberto risalì in auto e guidò pigramente fino all’albergo, prese le chiavi alla reception, salì in camera e si stese sul letto. Notò che non era comodissimo, anzi, ma non poté fare a meno di pensare a Lorenzo che invece dormiva in un parcheggio, sui cartoni.

La mattina seguente fu come l’aveva immaginata: noiosa. All’anagrafe del piccolo comune non conosceva nessuno, gli impiegati erano tutti piuttosto giovani, qualcuno decisamente più forestiero di lui, a giudicare dagli accenti che sentiva. La ragazza dei certificati anagrafici, vedendo il suo documento d’identità esclamò sorpresa: “Signor Sarti, ma lei è nato qui! Chissà se qualcuno dei colleghi più anziani si ricorda di lei! Ci sarebbe la signora Lidia qui, di solito, ma adesso è assente, è già da qualche giorno che è ammalata…”
Se la ricordava bene, Lidia: l’emittente principale di Radio pettegolezzo, sapeva sempre tutto di tutti, spesso anche prima che lo sapessero i diretti interessati! L’anagrafe del paese era proprio il posto giusto, per una come lei, ed era decisamente una fortuna che quel giorno non fosse lì, a dirla tutta. “…ma se vuole, ora provo a chiedere dietro, se c’è qualcuno…” si stava infervorando la giovane impiegata.
Alberto tagliò corto, cercando di sembrare il meno scortese possibile: “Guardi, lasci stare. Sono qui per lavoro e ho ancora molte faccende da sbrigare, prima di andarmene. Magari un’altra volta”
E magari anche no, pensò tra sé, mentre raccoglieva frettolosamente le sue carte e infilava l’uscita, seguito dallo sguardo visibilmente deluso dell’impiegata.

Si presentò al supermercato nel tardo pomeriggio, quasi all’ora di chiusura con una bottiglia di buon whisky in mano.
“Mi pare che i tuoi affari siano andati bene, visto che hai portato da festeggiare!” disse Lorenzo nel vederlo arrivare.
“Non sono ancora conclusi, ma promettono bene” rispose Alberto con un gran sorriso: “spero che tu non ti limiti a bere birra”, continuò, accennando alla bottiglia che teneva in mano.
Lorenzo rise: “Io bevo qualunque cosa, basta che non sia acqua!”
Alberto prese di tasca un paio di bicchierini di plastica e versò un dito di liquore in ciascuno dei due. Brindarono, bevvero entrambi, poi Alberto posò a terra la bottiglia e si scusò: “Devo scappare, purtroppo: ho un paio di telefonate urgenti da fare per chiudere l’affare. Magari domani, prima di ripartire, passo a salutarti”
“Se mi lasci qui questo regalo non mi offendo, anche se vai via subito. Passa pure domani, per stasera non garantisco… di essere in casa” rise, accennando alla bottiglia.
Alberto risalì in auto e ripartì subito. Tornò in albergo, cenò con calma, ma a tarda sera riprese l’auto per tornare in paese. Ormai sta diventando un’abitudine, si ritrovò a pensare, mentre parcheggiava davanti al supermercato chiuso. Prese una borsa dal bagagliaio e si avviò verso il solito angolo. Come immaginava, Lorenzo era steso in mezzo ai suoi cartoni, completamente ubriaco. La bottiglia rotolò vuota sotto i suoi piedi e l’odore di alcol era fortissimo. Lo scosse, ma ottenne in risposta solo un debole mugolio, allora lo girò sulla pancia, gli sfilò il giaccone e i vestiti luridi, tolse dalla borsa una coperta, ancora chiusa nel cellophane, e gliela avvolse addosso. Poi mise i vestiti nella borsa e risalì in auto. Tornò dopo un paio d’ore, tolse dalla borsa gli stessi vestiti, però puliti e asciutti, e armeggiò per rimetterli addosso all’uomo disteso, che improvvisamente aprì gli occhi e lo fissò, inquieto: “Che stai facendo, la crocerossina, per caso? Guarda che non ho bisogno della tua pietà, non mi serve niente da te!” Biascicava, ma non sembrava più ubriaco:
“Accidenti, hai già smaltito la bottiglia?” lo apostrofò Alberto “Certo che lo reggi ancora bene l’alcol! Dai, non ti arrabbiare, ti volevo dare una mano: se puzzi in quel modo non ti si avvicina più nessuno” gli disse, conciliante, “ogni tanto ci vuole, un giro di lavanderia. Già che c’ero, ti ho preso anche un paio di magliette nuove, così, se ogni tanto vuoi lavarle, hai qualcosa da indossare nel frattempo”

Ci fu un minuto di profondo silenzio, mentre Lorenzo finiva di rivestirsi. Poi si mise seduto, tirò a sé Alberto, ancora accucciato davanti a lui e gli sussurrò in un orecchio: “Qualunque cosa succeda, mi dispiace”
Alberto non riuscì a replicare: lo scatto metallico delle manette che gli si chiudevano intorno ai polsi risuonò come un colpo di pistola nel parcheggio deserto, che un attimo dopo brulicava di uomini armati, mentre grossi fari lo illuminavano a giorno.
“Alberto Sarti, la dichiaro in arresto per traffico internazionale di stupefacenti” disse una voce alle loro spalle, che apparteneva a un tenentino dei Carabinieri, in piedi, a gambe divaricate e pistola spianata.
Alberto si voltò lentamente, lo sguardo smarrito, la luce dei fari gli impediva la visuale, cercò di schermarsi gli occhi alzando le mani ammanettate, ma un altro agente lo prese per un braccio e lo strattonò da parte.
Alberto tentò una debole difesa: “Ma cosa volete, ho solo lavato i vestiti al mio amico…”
“Come no” replicò l’ufficiale, “e già che c’era, ne ha approfittato per indossarli, mettersi una parrucca e far finta di essere Lorenzo che rovistava nei cassonetti, soprattutto in quello dove i suoi complici oggi pomeriggio avevano nascosto il carico di droga appena prelevato al porto! Sappiamo tutto, Sarti: è da una settimana che la pediniamo. Ormai ci mancava solo lei, abbiamo già arrestato tutti gli altri, anche la sua segretaria. È da ieri che ai suoi messaggi rispondiamo noi, col telefono della signora Giuliana. Questa volta ho fatto proprio un bel lavoro, adesso non potranno negarmela, la promozione!”

Alberto si voltò a cercare Lorenzo che sfuggiva il suo sguardo: “Sei un bravo attore, non c’è che dire, ma tra tante balle, una cosa l’hai detta giusta: non c’è gratitudine, a questo mondo” e accennò con lo sguardo al tenente che continuava a vantarsi del proprio successo, ignorando tutti coloro – Lorenzo in primis – che a tale successo avevano evidentemente contribuito molto più di lui senza meritarsi nemmeno un “grazie”, in mezzo a tanta vanagloria.

Lorenzo ritrovò lo sguardo fiero di sempre e rispose: “Quando lavoro, balle non ne racconto. Mai”

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