Domenica. Ma chi è che suona il campanello, a quest’ora, poi? È decisamente presto, ma per fortuna io non dormo mai molto, nemmeno quando potrei: non mi interessa rimanere a rigirarmi in quel letto vuoto.
Sbircio da dietro le tende e vedo al cancello una strana figura, non molto alta, infagottata in una specie di lungo impermeabile, con il cappuccio tirato fin sugli occhi e una vistosa sciarpa a coprire il resto del viso. Pare quasi che faccia fatica a stare in piedi: gente che beve forte al mattino ne abbiamo? Parrebbe di sì.
Alzo controvoglia il citofono e butto lì un “Sì…?” più curioso che preoccupato: finché se ne sta là fuori non è un problema mio.
Dall’altra parte mi sembra di percepire quasi un coro di voci: “Raccomandata” “No: puff… ehm… atto giudiziario!” “Busta verde…”.
Sembrano bambini. Anzi, quasi sicuramente lo sono: “Stai a vedere”, mi dico, “che sono quei delinquenti in erba dei figli dei vicini con il loro ennesimo scherzo stupido”.
Decido di stare al gioco, voglio proprio vedere fino a dove sono capaci di spingersi, questa volta.
Esco e gli strappo la busta di mano: “È azzurra, non verde”, faccio notare con malcelato sarcasmo, “dove devo firmare?”
Mi porgono un foglio stropicciato e una penna minuscola che sembra presa dalla casa delle Barbie. Metto giù uno scarabocchio e ringrazio.
Sì volta – o meglio: si voltaNO – per andarsene e lì capisco definitivamente che sono – appunto – in due, uno sulle spalle dell’altro, coperti alla meglio dal lungo impermeabile. Continuo a stare al gioco, fingo di non notare e ridacchiando tra me rientro in casa.
Sulla busta, con grafia molto incerta – quasi infantile, se mi servisse un’ulteriore prova – c’è scritto: Signior Alberto Corgi e null’altro.
“Potevano sprecarsi a renderla più credibile”, mi dico. Ma poi, pensandoci arrivo da solo alla conclusione corretta: “Se fanno certi errori di ortografia, è già tanto che abbiano scritto giusto il nome, che altro pretendi?”
Apro e tiro fuori un foglio, azzurro come la busta, scritto malamente a macchina:
Il Signior Alberto Corgi è puffato convocato dal tribunale del regno per essere giuddicato sicome ha puffato causato la morte del Grande Puffo
Alle ore nove di oggi
Si racomanda puntualita
Rido sguaiatamente: “Certo, puntualissimo, come no…”
Sono decisamente i ragazzini: gliel’avevo già detto un migliaio di volte di non lanciare nel mio giardino i loro giochi del tubo. Certo, può capitare che giocando qualcosa vada oltre la recinzione, per carità. Ma almeno venissero a riprenderseli! E così la scorsa settimana ho lanciato l’ultimatum: “La prossima volta non mi chino a raccogliere nulla: ci passo sopra con la falciatrice e butto tutto!”, ho urlato mentre rilanciavo nel loro giardino l’ennesimo pupazzo, un frisbee e pure un pallone. Nessuno ha risposto, nessuno si è nemmeno affacciato a ringraziare o – sia mai! – a scusarsi.
E infatti ieri, come se non avessi parlato nemmeno, è successo di nuovo: l’ho visto, il nanerottolo blu, in mezzo all’erba e senza nessuna esitazione ho spinto al massimo l’acceleratore del trattorino e gliel’ho sbriciolato. Ben gli sta, la prossima volta staranno più attenti.
Doveva essere di un qualche tipo di gomma morbida, uno di quei pupazzi con il liquido dentro: ha fatto uno strano suono, mentre ci passavo sopra. Me ne sono anche pentito, poi: c’erano pezzetti blu ovunque e ho dovuto addirittura lavare il fondo del trattorino rasaerba, tanto era imbrattato e puzzolente. Ma che diavolo ci mettono, dentro i giocattoli di oggi?
Alle 10 esco a buttare la spazzatura. Do un’occhiata nel giardino dei vicini per cogliere qualche movimento, ma nulla si muove: è tutto stranamente silenzioso.
Ora che guardo meglio, è proprio tutto sprangato: porte, finestre, tapparelle. Non c’è nemmeno la macchina!
Strano che abbiano lasciato i vandali a casa da soli. Capaci che danno fuoco a tutto.
Ma finché stanno di là… “Not my problem“, mi dico. Al limite gli farò la cortesia di chiamare i pompieri.
Alle 10.30 suonano di nuovo. Sempre loro, con lo stesso impermeabile. Non rispondo nemmeno al citofono: esco direttamente, prendo la busta azzurra che vorrebbe essere verde e rientro in casa senza nemmeno starli ad ascoltare, mentre fanno le vocine e dicono cose senza senso. Hanno già rotto.
La solita grafia sulla busta, la solita pessima dattilografia all’interno:
Il tribunale ha puffato emmesso il suo giudizzio
Il Signior Corgi non è nemeno venuto a scusarsi e ha ucciso il Grande Puffo e alora questo tribunale reale lo puffa condanna a morte
La sentenza verrà puffata eseguita alle ore 12
Si racomanda puntualita”
Scandaloso! Tutte quelle correzioni e nemmeno una virgola. Ma che diamine gli insegnano a scuola?
Accendo la tv e mi siedo in poltrona. Non ho più intenzione di rispondere al citofono. Vadano a fare scherzi a qualcun altro, se vogliono divertirsi. Con me hanno chiuso.
E domani i loro genitori mi sentono, mi sono proprio rotto!
In tv non c’è nulla, fuori sta per piovere, non avrei nessuna voglia di uscire, ma sono le 11:55 e la curiosità mi divora. Così decido di dargli corda ancora per un po’ e vedere che si inventano.
Al limite avrò di che ridere per il resto della giornata.
Alle 12 in punto apro la porta ed esco in giardino con passo deciso urlando sarcastico: “Eccomi qui, puntualissimo alle 12, come richiesto. E adesso?”
Dalla mia destra sento un coro di vocine che urlano: “Pronti, puffare, FUOCO!” E sento tre-quattro punture sul braccio. Mi volto per prendere al volo una delle pietruzze nere mentre rimbalza via ed è in quel momento che mi sento come se qualcuno mi avesse infilato dentro una macchina del tempo rimandandomi di botto nei favolosi anni ’80!
Mi rivedo sprofondato in poltrona ad aspettare la voce di Cristina D’avena che canta: “Noi puffi siam così, puffiamo tutti in blu…“
Rimango lì, la bocca aperta, gli occhi sbarrati, a fissare la decina di autentici puffi allineati sul muro del giardino con le loro minuscole fionde in mano. Quello che sembra il più arrabbiato di tutti tiene in mano una specie di pergamena e urla: “La sentenza è stata puffata!“, mentre vicino a lui, il puffo con gli occhialini tondi guarda scettico prima me e poi lui dicendo: “Ma non è mica morto!“
“Infatti”, mi dico: “che pensavano di farmi, con quelle punture di zanzar…?”
Ma non termino il pensiero, perché dalle mie spalle arriva in risposta una vocina femminile molto decisa e squillante: “Non ancora, infatti: saltate! ORA!“
Con la coda dell’occhio intravedo la bella Puffetta che abbaia ordini dal bordo del mio tetto, mentre i piccoletti allineati sul muro saltano giù come un sol… puffo su una piccola asse di legno, una specie di… catapulta?
Dall’altra estremità dell’asse si solleva infatti un ditale di ottone lucidissimo che descrive un dorato arco lucente sullo sfondo delle nuvole grigie e centra perfettamente la mia bocca, ancora spalancata per la sorpresa.
Succede tutto in pochi istanti: il ditale, pieno di un liquido sconosciuto, mi si rovescia in gola. Tossisco forte. Giusto il tempo di rendermi conto del fortissimo odore di mandorla amara e sono già a terra che mi contorco.
Bastardi maledetti! Altro che dolci creaturine indifese! Faccio ancora in tempo a pensare che se le cose stanno così, il povero Gargamella deve aver fatto una brutta fine già da un sacco di tempo.
Poi è solo buio.